La priorità della crescita implica un’operazione straordinaria sul debito
Di Carlo Pelanda (27-5-2008)
C’è ampio consenso sulla priorità della crescita con mezzi realistici (efficienza, ordine) e non idealistici (burocratismo, tasse). Venerdì scorso lo si è visto come convergenza, o non troppa divergenza, tra governo, Confindustria, opposizione e sindacati. Bene. Ma ora c’è una nuova questione: per fare più crescita saranno sufficienti azioni ordinarie oppure ci vorranno iniziative straordinarie?
Il governo, al momento, ha annunciato solo
misure del primo tipo, pur forti, di riparazione pragmatica dell’irrealismo
applicato dal centrosinistra dal 1963, peggiorato ed incancrenito nei decenni
successivi: rimozione dei vincoli allo sviluppo, inserimento di funzioni verticali
di comando in un assetto istituzionale orizzontale, rientro dagli eccessi di
tassazione, riduzione dei costi energetici, ecc. Queste politiche certamente
“rialzeranno” il paese. Ma difficilmente lo “rilanceranno. L’Italia, dai primi
anni ’90, è in stagnazione endemica per motivi strutturali senza modificare i
quali non potrà fare un salto espansivo: (a) peso degli interessi annuali sul
debito; (b) ci sono due Italie e solo il Nord è industriale mentre il resto è a
traino; (c) il welfare italiano ha mantenuto l’impianto nazionalsocialista
datogli originariamente dal modello fascista/dirigista con peggioramento nel
dopoguerra dell’assistenzialismo. La combinazione di questi fattori ha creato una crisi competitiva e di modernità
del sistema, attutita dalla vitalità del Nord che ha limitato il declino, ma
senza invertirlo. Per ottenere un vero rilancio sarà inevitabile risolvere i
tre problemi. In quale sequenza? Il terzo implica un cambiamento sostanziale di
modello che dovrà necessariamente essere graduale per evitare crisi sociali.
Quindi, a tale livello, la riforma di rilancio sarà lenta e dovrà essere molto
finanziata. L’impulso iniziale alla crescita nel Sud ed il suo
turbopotenziamento a Nord implicano detassazioni ed investimenti di grande
volume. Ma lo spazio è minimo perché la spesa pubblica è rigida (stipendi) e
poco tagliabile. Quindi per finanziare “a catapulta” l’assetto di crescita
resta solo la cancellazione di una parte del debito per ridurre il costo
annuale degli interessi (sui 70 miliardi) e così liberare nel medio termine uno
o due punti di Pil per la stimolazione fiscale. Mossa comunque saggia nel
rischio sia di inflazione e tassi crescenti sia per l’obbligo al pareggio di
bilancio entro il
Carlo Pelanda